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Marine Serre e quello che vi siete persi al Pitti

Un’edizione vagamente aristocratica – anche per l'anarchica designer francese

Marine Serre e quello che vi siete persi al Pitti Un’edizione vagamente aristocratica – anche per l'anarchica designer francese

Il Pitti Immagine uomo, che precede immediatamente la Milan Fashion Week, si è svolto quest’anno con un fermento più aristocratico, sorretto dagli show di Paul Smith e Marine Serre di ieri e l’altroieri, e con la sfilata di Pierre-Louis Mascia che invece avrà luogo oggi. I due show di Smith e Serre, che hanno attirato numerosi visitatori, hanno forse subito l’influenza sartoriale del Pitti, essendo entrambi stati dominati da linee sartoriali formali ma mai severe, da silhouette nitide e definite, e da un certo tipo di cortese sprezzatura che è ormai il parametro aureo del menswear di oggi. In realtà, quasi a sorpresa, lo show di Serre è presto passato dalla sfilata maschile che tutti si attendevano a un’esibizione di virtuosismo in cui la designer ha presentato anche il womanswear e una serie di look creati a partire da materiali di recupero (per gli abiti bianchi sul finale la base erano dei corredi da letto d’epoca) ampliando di molto il respiro della sua collezione. 

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Senza dubbio, lo show tenutosi a Villa di Maiano, sui colli di Fiesole, ha avuto una poesia unica grazie allo stupendo paesaggio e alla perfetta luce dorata del tramonto – molto diversa dal sole francamente abbacinante che risplendeva invece in mattinata sulla Fortezza da Basso. Presentando una serie delle sue silhouette classiche, questa volta però con una dose più leggera di eco-futurismo, Serre ha optato per un maggiore rigore, che esplodeva però nell’esuberanza stilistica a noi nota nel caso di alcuni look come  ad esempio quella della giacca ricoperta di fiori. Tra i look più interessanti c’erano gli abiti ricostruiti a partire da zaini e una serie di lucidi pezzi in pelle ricoperti dalle lune crescenti presentati in ensemble monocromatici (il migliore era quello color cognac) ma anche in versioni “spezzate” abbinando lucido pantalone di pelle e camicia azzurra. Altro punto forte erano i capispalla, e specialmente una giacca di lana tartan priva di baveri, con filettature di pelle e una fantasia patchwork sul fondo mentre era molto “margiel-esco” un abito di rete a doppio strato al cui interno, pressati, si trovavano dei fazzoletti stropicciati che nascondevano il corpo. Altrove, la fantasia patchwork proseguiva su una serie di camicie dal colletto iper-70s mentre diverse stampe provenivano direttamente da quelle viste nella collezione menswear FW23 della stessa Serre.

Lontano dalle passerelle, nella Fortezza da Basso, gli usuali ospiti del Pitti hanno seguito un simile sentiero di anarchia sartoriale. Escludendo i completi basici e conformi, sempre presenti in grande abbondanza, si è potuto notare un certo gusto  nell’accostare pezzi di sartoria e accessori più raffinati ad abiti militari, tute da lavoro vintage, borse di robusta tela con almeno cinquant’anni di onorata carriera alle spalle. L’effetto non è nuovissimo ma è sicuramente gradevole. Numerosi i foulard, le giacche in denim, le polo in maglia e un certo citazionismo alla ridente America degli anni ’50 visto attraverso i berretti marinareschi, le uniformi navali, i top a righe. I famosi “pavoni” del Pitti (che sembrano spesso viaggiatori del tempo sbucati dagli anni ‘20) si sono relativamente limitati quest’anno di informalità, di gran fuga dall’affettazione. Probabilmente è un bene.